I - La nascita del Partito comunista in Italia

Il 21 gennaio del 1921 nel teatro S.Marco di Livorno nacque il Partito Comunista d’Italia (Pcd’I[1]) sezione italiana della III Internazionale. Il luogo che avrebbe dato i natali a quello che in futuro sarebbe diventato il più grande ed importante partito comunista dell’Europa occidentale, era stato utilizzato durante la guerra appena conclusa come deposito e si presentava, come ricordò Terracini[2], come un luogo angusto, senza luce, privo di sedie e di panche, con finestre senza vetri ed il tetto sfondato. Coloro che costituirono il Pci furono una minoranza dei delegati del XVII Congresso del Psi, che si tenne in quei giorni a Livorno in un altro teatro, il Goldoni.

Il Congresso socialista aveva appena rifiutato, con solo un quarto di voti contrari, come previsto nelle 21 condizioni per l’adesione all’Internazionale Comunista, di espellere i membri della corrente riformista del Partito. La minoranza, che rappresentava 58.783 iscritti su 216.337, e che abbandonò il Goldoni riunendosi al S.Marco, era costituita dal gruppo “astensionista” che faceva capo a Bordiga, futuro primo leader del nuovo Partito, dal gruppo dell’Ordine Nuovo[3] di Gramsci, Togliatti, Terracini e Tasca, dalla corrente massimalista di Marabini e Graziadei e dalla stragrande maggioranza della Federazione giovanile socialista (Fgs)[4]. Questi gruppi oltre a dichiarare la nascita del nuovo partito elessero anche un primo Comitato Centrale[5], nel quale erano ben visibili i rapporti di forze interni.

Le cause che provocarono la scissione del Psi vanno ricercate in primo luogo oltre i confini italiani. Infatti erano diventate fortissime le pressioni del nuovo centro mondiale della politica comunista, la Terza Internazionale, che era nata a Mosca nel 1919 e che, essendo certa della possibilità di esportare in tutta Europa il proprio modello vincente, con le 21 condizioni che poneva per l’adesione alla stessa, chiedeva, oltre che l’epurazione delle correnti riformiste, l’assunzione del nome comunista in luogo di quello socialista. Ma se è indubbio che la Rivoluzione d’Ottobre facesse da catalizzatore, in tutti i paesi, per i settori più rivoluzionari dei partiti operai, allo stesso tempo non possono essere dimenticate le particolarità del Psi, che si era già caratterizzato per un proprio atteggiamento autonomo durante la I Guerra Mondiale, quando diversamente dagli altri partiti socialisti europei che appoggiarono le rispettive borghesie, lanciò la parola d’ordine “né aderire né sabotare”.

All’interno del Partito, si erano acuite, anche a causa della situazione post bellica, le divisioni politiche tra le tre correnti principali: la destra riformista e socialdemocratica di Turati, i massimalisti di Serrati, che erano la vera maggioranza del Partito, e la componente di Bordiga e Gramsci. Ma come ricorda Agosti, l’analisi teorica fu sempre piuttosto carente nei socialisti di quel periodo[6], che amavano parlare di rivoluzione, senza mai, ed in questo era chiara la differenza con i bolscevichi, preoccuparsi di discutere di cosa fare per arrivarci, magari confidando nell’ineluttabilità della stessa. Queste peculiarità proprie del socialismo italiano fecero sì che si arrivasse alla nascita di un partito comunista rivoluzionario con molto ritardo rispetto agli altri paesi europei, e senza un sufficiente dibattito ideologico, come quello che ad esempio era avvenuto nella socialdemocrazia tedesca. Si giunse per questi motivi al paradosso che il Pci, che era il partito che doveva nascere per fare la rivoluzione, fu formato proprio nel momento in cui sfumarono le condizioni per la rivoluzione, che erano sicuramente più mature nel biennio del 1919-20.


[1] Il Pcd’I cambiò la denominazione in “Partito Comunista Italiano” (Pci) in seguito dello scioglimento dell’Internazionale Comunista (Comintern) avvenuta nel 1943. Utilizzando un metodo di semplificazione adotteremo sempre la dicitura Pci.
[2] Cfr. “La storia del futuro Livorno 1921 – 2001” numero unico edito dalla Direzione nazionale del P.r.c. in occasione dell’ottantesimo anniversario della nascita del Pci.
[3] L’”Ordine Nuovo” fu una rivista diretta da Gramsci e stampata per la prima volta il I maggio del 1919. La rivista diventerà ben presto l’organo dei Consigli di Fabbrica.
Cfr. Mordenti “Introduzione a Gramsci”, Datanews Editrice.
[4] La Fgs, con il 90% dei voti, nel suo ultimo Congresso si trasformò in Federazione giovanile comunista italiana (Fgci).
I primi Segretari nazionali della Fgci furono Giuseppe Berti e, dopo il 1923, Giuseppe Dozza, storico futuro Sindaco di Bologna.
La Fgci in seguito ebbe un ruolo importante soprattutto durante la Guerra di Liberazione: furono create, in particolare, due organizzazioni parallele, il Fronte della Gioventù al Nord e, dopo l’8 settembre 1943, il MGC nell’Italia centro meridionale.
[5] I 15 componenti del Comitato Centrale furono, in ordine alfabetico: Belloni, Bombacci, Bordiga, Fortichiari, Gennai, Gramsci, Grieco, Marabini, Misiano, Parodi, Polano, Repossi, Sessa, Tarsia, Terracini. Di questi otto erano Bordighisti, cinque massimalisti e due di Ordine Nuovo.
Cfr. Togliatti “Gramsci”, Editori Riuniti.
[6] Cfr Agosti “Storia del Pci”, Editori Laterza.